Il mito di Orfeo, noto in seguito alle imprese incontenibili degli Argonauti, ove si narra dell’amore per Euridice, stupenda ninfa dei boschi che vive negli alberi. Più che viverci, il senso in realtà sarebbe un altro e si riferisce alla qualità della linfa vitale che è in tutte le forme di vita ed in particolare nelle piante, fonte di vita che si risveglia per accedere alla conoscenza dei misteri della vita. Le piante sono la forma di vita più indifesa e delicata che esista su questo pianeta e richiedono quella particolare qualità dell’animo dell’uomo di sapersi avvicinare senza turbarle.
Ma andiamo per gradi! Cercando in giro, ho riscontrato che questo mito non solo è stato alterato, ma non è stato compreso a fondo ed anzi, come spesso accade, quando qualcosa esce dai canoni convenuti, viene catalogato come una tragica storia. Non comprendendo più ed avendo dimenticato la sua natura, la cultura imperante, impone una visione, che per quanto apparentemente coerente, si discosta di molto dal comprendere appieno il significato della vita nella sua interezza, il suo legame con l’amore e con il ricordare non solo come eravamo, ma come siamo dentro, di quali qualità siamo dotati e per quali scopi.
Un allontanamento dall’essenza vera delle cose che ci ha portati a perdere il ricordo di tutto ciò che coincide con la verità della nostra Essenza, portandoci ad un riduzionismo intellettuale dal quale è faticoso uscire, datosi che queste qualità latenti sono relegate quasi a livello inconscio e trovano spazio solo nel momento in cui abbracciamo nuovamente l’istinto, quello stesso istinto che è stato soffocato convincendoci che sia un male da evitare e soffocare, mentre quel male ed il dolore che emerge è solo la conseguenza della nostra costrizione e schiavitù.
L’uomo è stato convinto che la sua natura sia rabbiosa e violenta, mentre in realtà, nel suo animo, egli è potenzialmente un prodigio di maturità ed evoluzione, la sua volontà profonda spinge verso un ulteriore sviluppo e perfezionamento di sé, partendo dai dati acquisiti e dalle esperienze che vive, capace di assaporarle fino in fondo e nella pienezza, invece di guardare tutto con timore e diffidenza.
Purtroppo nel momento in cui la logica dominatore/dominato è entrata nella nostra cultura ogni individuo ha perso il contatto con lo scopo profondo della sua vita, che è rivoluzionare verso più elevate vette di coscienza, comprensione che lo porterebbero ad esercitare un autentico libero arbitrio la cui autentica traduzione consiste nel capire che è di un atto d’amore che si tratta, e che la libertà risiede nell’amore, proprio quello stesso amore rappresentato dal mito di Orfeo ed Euridice. Abbiamo perso la domanda di fondo relativa a cosa siamo, mentre abbiamo mandato esploratori a trovare risposte a questo interrogativo ci siamo adagiati cercando di rendere più confortevole il nostro soggiorno, invece di usare l’acume e l’intelligenza per capire qual è lo scopo di questa forma di vita così divergente dalle altre, di cui dovremmo essere gli autorevoli rappresentati.
Oggi ci troviamo difronte ad un umanità che ha smesso di cercare e che dorme nell’illusione di avere il controllo su tutto, senza essere più capace di intendere che l’inquietudine che cerchiamo di colmare con cose e azioni è il sintomo di un vuoto esistenziale. Gli individui oggi pensano e credono che la loro funzione si limiti a prendere tutto ciò che gli pare come se gli fosse dovuto, perdendo il senso del dono, proprio come fa il pastore Aristeo, a causa del quale Euridice muore morsa da un serpente in un prato mentre correva tentando di sottrarsi alle sue attenzioni. Il morso del serpente è il trattamento che il genere maschile riserva all’altro genere, il morso che avvelena la donna e la precipita nel mondo dei morti, cioè le uccide l’anima e la priva della sua innocenza e cortesia.
La violenza dell’uomo si è tradotta in una rincorsa al possesso della donna, per soggiogarla ed usarla come una sua proprietà per il suo egoismo e diletto. La cosa che mi colpisce è il fatto che questo femminicidio avvenga in un luogo così bello e delicato, senza capire che è proprio così che il maschio uccide la donna. Egli, ferendola nell’animo, le toglie la vita, la purezza, e la voglia od entusiasmo di vivere, con le sue ripetute pretese, giorno dopo giorno, sottoponendola ai suoi giudizi limitati e limitanti, e nel tentativo di sottometterla.
Orfeo e Euridice è un monito, un insegnamento, allo stesso tempo, un mito che racconta dell’uomo e della donna di come erano un tempo e di come l’annullamento di questa incredibile alleanza, che si manifesta nell’amore l’uno verso l’altra, abbia portato a questa separazione che li ha posti uno contro l’altra a vantaggio di altri potere pre-costituiti. E’ inevitabile che come conseguenza il genere femminile sia portato a temere il genere maschile e percepire il maschio come una minaccia. Padri e mariti padroni sono la conseguenza di questo genere di educazione. La vittima sacrificale? La donna.
E’ di un tradimento dell’amore e della dolcezza che ci parla il racconto di Euridice morsa dal serpente, un crimine efferato, consumato nell’intimità di un cuore innamorato, è la storia di un disincanto e di una perdita totale di fede, il tradimento di ogni aspirazione, il più crudele dei tradimenti perpetrato per scopi egoistici di controllo e di possesso.
La causa?
L’uomo, il maschio intendo, non è più tale, i suoi timori si sono tradotti nella violenza che manifesta attraverso l’insensibilità del suo animo. Crede ed è stato indotto a credere che solo essendo virile /violento sarà veramente uomo, dimenticando il candore di un cuore innamorato, si avventa su ogni donna che incontra nel tentativo di cercare conferme alla sua credenza di “maschio” conquistatore o dominatore (mascolinità), mentre la donna avverte tutto questo come una prepotenza alla quale alla fine si convince di non potersi sottrarre e verso la quale non può che soccombere, per non essere distrutta completamente. Inutile dire che si sbaglia, la paura non è mai stata un buon alleato.
Il punto è che siamo chiamati tutti a rimettere in discussione il modo con cui costruiamo i rapporti e non tutti, a questo punto dello sviluppo di questa cultura, sono più disposti a questo genere di trasformazione, hanno dimenticato la pienezza di un amore sincero e sono troppo pigri per ricominciare a vivere.
Un mito, quello di Orfeo ed Euridice che ci insegna come fare per recuperare quell’amore perduto e farlo riemergere dagli abissi psicologici nei quali lo abbiamo relegato ed allo stesso tempo un monito a lasciare che la donna si doni alla luce del sole senza spaventarla voltandosi prematuramente, ovvero, avventandocisi sopra. Il senso di Orfeo che si volta troppo presto e fa sparire in una nuvola Euridice è questo. Ma ci sono rimendi e rimedi, anche di questo si parla nei testi che trattano questo rapporto, ma bisogna saperli leggere. Ad esempio, leggiamo in Virgilio, che è la fonte che ci riporta più informazioni sul mito di Orfeo ed Euridice, nelle Georgiche, IV: «(…) Anche allora, mentre il capo di Orfeo, spiccato dal collo bianco come marmo, veniva travolto dai flutti, “Euridice!” ripeteva la voce da sola; e la sua lingua già fredda: “Ah, misera Euridice!” chiamava con la voce spirante; e lungo le sponde del fiume l’eco ripeteva “Euridice».
Ed ancora – «Quale che fosse il modo come Orfeo morì è certo che ogni essere del creato pianse la sua morte, le ninfe indossarono una veste nera in segno di lutto e i fiumi si ingrossarono per il troppo pianto». – ad indicare che le donne piangono l’uomo di un tempo, indossano vesti nere come simbolo della perdita e del dolore subito. Ecco allora che, ed qui che consiste il rimedio, – «Le Muse recuperarono le membra di Orfeo e le seppellirono ai piedi del monte Olimpo e ancor oggi, in quel luogo, il canto degli usignoli (4) è il più soave che in qualunque parte della terra.» – a significa che per tornare a vedere Euridice l’uomo deve perdere la testa; tutto è ciclico e governato dalla legge della ricorrenza, solo una mente limitata a percepire il tempo in modo lineare non riesce ad intravvedere dove sia il ritorno e la nuova opportunità. Orfeo infatti non perde per sempre Euridice, ma è chiamato a compie una profonda trasformazione della sua apparente natura umana. Cambia la tua natura! è il monito degli alchimisti, sorveglia il fuoco, … e molto altro.
Come Pietro viene crocifisso a testa all’ingiù o come la statua di nostra Dame con la testa portata tra le mani, staccata dal collo, quale segno di devozione ed umiltà, così la testa di Orfeo deve essere sepolta alla base del monte Olimpo. Solo l’uomo penitente può entrare nella caverna in cui è custodito il calice dell’alleanza che è fonte di vita eterna. E’ questo il senso del fatto che Ade e Persefone si convincono a lasciare andare Euridice, cosa che fanno a condizione che Orfeo cammini davanti a lei e non si volti a guardarla finché non fossero usciti alla luce del sole.
Durante il viaggio Orfeo è tenuto a non voltarsi, sapeva che, se lo avesse fatto, non avrebbe più rivisto la sua amata, ad indicarci un arte dell’amore: l’arte di saper attendere il momento in cui l’animo dell’amata emerga senza veli. E’ questo il significato del fatto che egli suonare la lira, lo fa di modo da distogliere l’attenzione dal suo morboso desiderio di possederla; nell’atto di sorvegliare il fuoco, potrà cogliere il momento.
E’ dell’importanza della dolcezza, della cautela e la capacità di immedesimarsi, nel capirne le sfumature del suo animo e nel volerle cogliere, che ci parla questo mito. Del significato delle carezze, di quale grande significato c’è nelle carezze e nel modo con cui un uomo dovrebbe avvicinarsi ad una donna per non turbarla. Una dolcezza che si sveglia con gli incanti dell’amore, una dolcezza, capace di togliere l’atavico senso di minaccia impresso in secoli di oppressione e controllo, una dolcezza ed apertura all’amore capace di far uscire allo scoperto il cuore dell’amata per condurre entrambi verso l’eterno idillio al quale sono da sempre destinati senza saperlo. Una comunione di animi e fusione dei corpi che ha il sapore di una profonda affinità.
Il simbolo è forte e ci dice che la delicatezza è essenziale per riportare le donne indietro dal mondo dei morti dove uomini meno capaci, brutali ed insensibile le hanno relegate. Ecco perché Orfeo suona la lira, strumento delicato per sua natura, ma deve avere l’accortezza ed il carattere di sorvegliare il fuoco della passione, quest’uomo sarà in grado di godere del dono del cuore di quella donna, solo così oggi possiamo sperare di riportare l’alleanza nei due genere, quell’alleanza tanto onorata nelle culture Gilaniche (termine che deriva dall’unione di ‘gi‘ + ‘an‘, abbreviazioni dei termini greci giné – donna – e andros – uomo. La lettera ‘elle‘ in mezzo ha due significati: riprendendo sia il fonema greco leyin/lyo che vuol dire ‘liberare‘, che l’idea di unione culturale e ideale tra i due sessi, ovvero la parola di lingua inglese “link”, che sta, appunto, per unione, congiunzione, ovvero l’alleanza).
Siamo portati a pensare con semplicità che gli antichi fossero politeisti, un errore dovuto alla cultura che ha imperato negli ultimi 2000 anni, imposta da caste di sacerdoti che hanno cercato in ogni modo di degenerare la donna per controllarla. Ogni divinità rappresenta gradi di coscienza, comprensione e conoscenza (gnosis) verso l’essere autentici e reali, ai quali gli eroi, esseri umani capaci di risvegliare audacia e il coraggio di affrontare gli ostacoli della vita, possono sottendere ed aspirare. Purtroppo qualcosa è andato storto ed i più sono diventati così timorosi da non riuscire più a sentire la forza e la spinta di vivere, si sono celati in una sequela di certezze illusorie, smettendo, di fatto, di esplorare il senso autentico della vita. La maggior parte delle persone vivono seguendo il cammino scelto da altri, società, insegnanti, persino dai genitori, parenti o famigliari, che, per non scontentarli, finiscono per assecondare, perdendo di fatto il senso delle loro intuizioni ed il contatto con una volontà più grande che su questo pianeta chiamiamo Dio, ma che è dell’uomo stesso che si parla.
Troppo timorosi per esplorarne nuovi occulti luoghi. Ogni tanto arrivano persone intenzionate a voler vivere appieno e disposte a prendere le redini della loro vita per affrontare e superare gli ostacoli che incontrano senza desistere o arrendersi, confrontandosi con la paura e continuando a tentare senza sosta. Persone che capiscono che il libero arbitrio è un dono.
Il mito di Orfeo ed Euridice è un invito a ritornare sui nostri passi, non una tragica storia d’amore, ma un invito a rispolverare le nostre qualità elettive che ci possono ricondurre nel paradiso originario, dove Adamo ed Eva si amavano profondamente nutrendosi dall’albero della vita, un monito verso gli uomini, e una mappa per recuperare quello che abbiamo perso nel diventare così disumani dal non riuscire più a capire il valore dell’essere innamorati, relegando tutto ad una mera soddisfazione del desiderio morboso di possedere e senza capire che l’unione sessuale tra un uomo ed una donna è la forma più alta di preghiere, l’espressione più devota dell’amore, in onore della quale sono state costruite le più belle parole pronunciate nelle più antiche liturgie, che vi siano di ispirazione!
Testo scritto da Rocco Bruno, il 13 ottobre 2017
Editing e pubblicazione 12 luglio 2021.
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